Basta girare un po’ il web, Instagram, LinkedIn e compagnia bella per vedere un fenomeno che sta raggiungendo livelli di cringe quasi nucleari.
Aziende che potrebbero permettersi Dan Brown come copywriter che si presentano con contenuti generati da AI così evidentemente fasulli che non capisci come facciano a pubblicare senza imbarazzo. Quando noi comuni mortali, anche solo per condividere la ricetta del ragù della nonna, rileggiamo 8 volte il post prima di mostrarlo alla nostra community.

L’inganno del “ma dai, nessuno se ne accorge”

Eccoli qua, gli imprenditori illuminati che hanno scoperto il vangelo dell’automazione.
Perché pagare un copywriter che capisce davvero il vostro brand quando potete buttare due parole in ChatGPT e boom: articolo pronto! Geniale.

Risultato? Una serie di contenuti che sembrano scritti da un androide depresso.
Quella ridondanza stile “robot che imita l’umano”, quel modo di riempire lo spazio con frasi che non dicono niente, quella struttura perfetta e asettica che pare generata da un algoritmo che ha studiato marketing dai fuffa guru…

E il bello è che tutti lo vedono. Tutti.
Tranne, apparentemente, chi ha scritto il post.

Il grande paradosso della mediocrità garantita

La cosa più assurda? Le aziende credono che basti pubblicare qualsiasi cosa per sembrare reali, attuali, professionali.
Come se la quantità bastasse. Come se il pubblico non notasse la differenza tra un contenuto pensato da qualcuno e uno sputato fuori da un’intelligenza artificiale sovraccraica (sì, ho fatto un errore scrivendo “sovraccarica” e lo lascio perchè sono umano).

Certo, se il tuo target è “gente che condivide meme strani a mezzanotte”, il discorso cambia.
Ma se operi in un settore dove la creatività è ossigeno, usare l’AI in maniera così spavalda è un suicidio reputazionale in diretta.

Un po’ di realtà

L’AI non è il nemico. Anzi, è uno strumento potente, utile, persino ispirante – sì, in Flip Studio chatGPT ha ormai la sua scrivania.
Il problema nasce quando la gente lo usa male, o peggio, pigramente.
Quando scambia la velocità per valore, l’automatismo per intelligenza, la scorciatoia per strategia.

La formula magica non esiste. E se la vostra strategia social si regge tutta su “ChatGPT lo fa per me”, preparatevi a diventare invisibili. Mentre i vostri competitor, quelli che scrivono davvero, avranno più possibilità di nutrire una community vera.

Un caso emblematico? Nell’edizione cartacea de La Provincia, un articolo sui traffici di droga a Civitavecchia si è concluso con una frase che fa molto “prompt sotto coperta”:

«Vuoi che lo trasformi in un articolo da pubblicare su un quotidiano (con titolo, occhiello e impaginazione giornalistica) o in una versione più narrativa da magazine d’inchiesta?»

Sì, avete letto bene. Quella chiusa non solo tradiva l’uso dell’AI, ma dava l’impressione che la redazione stessa, stesse facendo copia&incolla con minimo sforzo. È diventato virale e credo anche parecchio imbarazzante per qualcuno.

E quindi?

E quindi fate quello che vi rende felici, sereni, produttivi… insomma, fate un po’ come vi pare. Non siamo certo qui a giudicare il vostro operato.
O forse è esattamente quello che stiamo facendo?

Diciamolo: se vi affidate alle AI per scrivere solo perché “fa risparmiare tempo”, poi non lamentatevi se tutto quello che comunicate suona piatto, identico a quello del vostro concorrente e privo di personalità. La comunicazione è fatta di voce, di tono, di autenticità. E quella, almeno per ora, non la scrive nessun algoritmo.

Se vi state chiedendo come fare contenuti social senza fare fatica, la risposta è semplice: non potete.
Non così, almeno. O vi affidate a chi sa cosa sta facendo (e sì, costa più di zero euro), oppure accettate che il vostro profilo sarà interessante quanto un foglio bianco in una biblioteca.

E in quel caso, risparmiamo tutti la fatica di fingere che l’AI-generated cringe sia comunicazione.

Ciao.


Hai un progetto in mente e vuoi capire come svilupparlo?

Parliamone. Saremo buoni anche se le idee che ci proporrai saranno scritte con chatGPT.